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DISPARITÀ DI GENERE E RISCHIO CARDIOVASCOLARE: UN PROBLEMA ANCORA DA RISOLVERE
I fattori di rischio tradizionali hanno un impatto diverso nelle donne rispetto agli uomini. Del resto, è ben noto che esistono anche numerosi fattori di rischio specifici per il sesso o legati alla gravidanza che modificano il rischio e possono contribuire a un futuro sviluppo di malattia nelle donne.1
Ora, una nuova review degli studi disponibili torna a puntare il dito sulle differenze di genere relative alle malattie cardiovascolari. L’indagine riporta l’attenzione sui fattori che queste differenze sono alla base di un incremento del rischio-cuore nella popolazione femminile. A cominciare dalla gravidanza, le cui complicanze (ipertensione e diabete gestazionale) aumentano il rischio rispetto a una gravidanza normale. Per esempio, il rischio relativo è 7,4 maggiore della norma nel caso compaia diabete in gravidanza. In più, la gestazione è uno stato pro-trombotico, con un aumento del rischio di incorrere in tromboembolismo venoso.2
Del tutto confermata la problematica conseguente alla menopausa e alla corrispondente cessazione dell’effetto protettivo dovuto agli estrogeni. Così come la sindrome dell’ovaio policistico: l’elevazione dei livelli di ormoni androgeni può causare insulino-resistenza e, in definitiva, diabete di tipo 2, ipertensione e dislipidemie.
E poi c’è il capitolo genetica, che viene affrontato in questi termini: i cromosomi X contengono informazioni che riportano all’infiammazione e contribuiscono largamente a malattie auto-immuni, prevalenti nel sesso femminile. Le malattie auto-immuni, peraltro, costituiscono una sfida significativa con un aumento del rischio cardiovascolare.
Esistono anche differenze anatomiche a livello dell’apparato cardiovascolare. Generalmente, il cuore delle donne è più piccolo rispetto a quello degli uomini e anche i vasi sanguigni hanno dimensioni minori. La struttura arteriosa microvascolare rende più probabile la stabilizzazione della placca aumentando nel corso del tempo il rischio di coronaropatia ostruttiva in età avanzata. Negli uomini, invece, la placca è più spesso instabile comportando un maggior rischio di rottura e di embolismo.
Fattori come stress, ansia e depressione si trovano in modo predominante nelle donne, contribuendo ad aumentare il rischio. Tra le patologie cardiache in qualche modo riferibili a questo complesso eziopatogenetico rientra per esempio la nota sindrome di takotsubo (la sindrome del “cuore infranto”): anche se non è considerata una malattia di genere, circa il 90% dei pazienti affetti sono donne e le donne di età superiore ai 55 anni hanno un rischio 10 volte maggiore di svilupparla rispetto agli uomini.
Ma esistono anche fattori sociali riferibili ai ruoli genere-specifici convenzionalmente assegnati alle donne. Tra questi, da tenere presente nel rapporto medico-paziente la mancanza di consapevolezza dell’importanza dei fattori di rischio, bassi livelli di istruzione in alcuni paesi, ritardi nella diagnosi di coronaropatia, minori opportunità di ricevere un trattamento ottimale, ridotti livelli di attività fisica, modifiche degli stili di vita non adeguati. A proposito di consapevolezza, secondo un’indagine statunitense, quasi il 65% delle donne dichiara di non sapere che le malattie cardiache siano anche per loro la principale causa di mortalità. E questo vale anche per il nostro Paese: una ricerca del 2022 condotta in Italia evidenzia che il 70% delle donne sanno che le malattie cardiovascolari sono la prima causa di morte nel nostro Paese, ma più del 60% crede che si tratti di patologie che colpiscono prevalentemente gli uomini.3
Anche l’età rende diversi uomini e donne dal punto di vista del rischio-cuore: nei maschi, il profilo di rischio di eventi cardiaci aumenta linearmente nel tempo, mentre le donne in età fertile sono protette dagli estrogeni. Così, l’incidenza di ictus è maggiore in menopausa. Il rischio di ictus in base al BMI è maggiore nelle donne. Fumo di sigaretta: a un’età inferiore ai cinquant’anni l’abitudine è più deleteria tra le donne e si associa a un maggior rischio di primo infarto miocardico acuto. La presenza di diabete comporta un rischio di CHD da tre a sette volte maggiore nelle donne contro un rischio da due a tre volte maggiore negli uomini.
E come se non bastasse, le donne con diagnosi di malattia cardiovascolare ricevono screening meno intensivi e minore trattamento rispetto agli uomini e siano meno rappresentate nel ricevere procedure cardiache.2
Nelle sperimentazioni cliniche le donne continuano a essere meno rappresentate rispetto agli uomini. Anche l’Istituto Superiore di Sanità torna sul problema: continuare a escluderle non è etico e può sottoporle a possibili rischi. Bisognerebbe tenere conto dell’età, dei fattori ormonali, della menopausa, della gravidanza. Ne consegue che non tutto quello che si apprende nelle sperimentazioni è trasferibile alla sfera femminile, perché purtroppo anche in una parte della classe medica circola ancora l’idea sbagliata che il sesso femminile sia naturalmente più protetto dai rischi CV.
A questo proposito, lo studio CVrisk-IT della Rete Cardiologica IRCCS, – che si pone l’obiettivo di studiare i fattori di rischio cardiovascolare di 30.000 persone volontarie sane, – va nella direzione giusta, lavorando per raggiungere un’adeguata rappresentazione dei generi nella popolazione dei soggetti arruolati, che comprende persone di età compresa tra i 40 e gli 80 anni, esenti da patologie cardiovascolari note o da diabete.
Riferimenti
- Satish P, Avenatti E, Patel J, Agarwala A. Understanding the spectrum of cardiovascular risk in women – A primer for prevention. Prog Cardiovasc Dis. 2024 May-Jun;84:34-42.
- Betai D et al. Gender Disparities in Cardiovascular Disease and Their Management: A Review. Cureus 2024 May 5;16(5):e59663. https://pmc.ncbi.nlm.nih.gov/articles/PMC11148660/
- Maffei S et al. Cardiovascular Risk Perception and Knowledge among Italian Women: Lessons from IGENDA Protocol. J.Clin. Med. 2022, 11, 1695.