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CHIRURGIA VALVOLARE: LIMITI E PROSPETTIVE SECONDO IL PROGRAMMA NAZIONALE ESITI

Dal I°Annual Meeting della Rete Cardiologica, Roma, 28 settembre 2022.

L’area cardiovascolare è una di quelle più sviluppate all’interno del Piano Nazionale Esiti (PNE) e inizialmente si sono analizzati gli interventi di bypass aortocoronarico, per poi prendere in esame quelli di valvuloplastica o sostituzione valvolare. Scopo del PNE in generale è quello di identificare eventuali criticità all’interno del SSN e di migliorare la sua qualità ed equità, attraverso strumenti di valutazione a supporto di programmi di auditing clinico ed organizzativo (per esempio indicatori di esito, processo e volume). Nello specifico, uno dei limiti riscontrati è dato dalla mancata adozione a livello nazionale delle “Linee guida per la codifica delle procedure TAVI e degli altri interventi strutturali transcatatere sulle valvole cardiache” del 2016, poiché viene ancora utilizzata la versione del 2007 dell’ICD-9-CM.

Dei limiti del PNE e delle sue prospettive, nonché della “fotografia” attuale della chirurgia valvolare, ha parlato al Meeting della Rete Cardiologica di Roma Marina Davoli, – Dipartimento di Epidemiologia SSR, Regione Lazio, ASL Roma 1, Responsabile Tecnico PNE, – che ha presentato tra l’altro il caso della Regione Lazio e di come l’integrazione del tracciato SDO (scheda dimissione ospedaliera, SDO XL) abbia aiutato a misurare la tipologia di intervento effettuata (transcatetere versus open) e a fornire ulteriori dati importanti.

Secondo i dati 2020-2021, attualmente in via di aggiornamento all’interno del PNE, gli interventi di bypass aorto-coronarico sono in diminuzione ormai da diverso tempo, mentre quelli di valvuloplastica e sostituzione valvolare sono aumentati negli anni, arrivando a più di 35.000 nel 2019. La diminuzione dovuta al COVID-19 nel 2020 è già stata recuperata nel corso del 2021.

Italia. Volume di ricoveri per valvuloplastica o sostituzione di valvole cardiache.

Per quello che riguarda la distribuzione delle strutture per volume di attività, sono 109 le strutture che hanno effettuato più di 10 interventi/anno di valvuloplastica o sostituzione di valvole cardiache nel 2020, ma meno di una quarantina di queste strutture realizza volumi importanti al di sopra dei 300 interventi: c’è, quindi, una buona parte di strutture con bassi volumi di attività.

L’analisi del volume per operatore all’interno del PNE è un altro indicatore importante che fotografa l’omogeneità o disomogeneità sul territorio nazionale e che comprende il volume per operatore di interventi di valvuloplastica fatti nella stessa struttura o in più strutture nel 2020. Sono stati presi in esame tutti gli interventi di valvuloplastica, non separando quindi AVR (sostituzione chirurgica di valvola aortica) da TAVI (impianto transcatetere di valvola aortica), e le strutture che hanno almeno un operatore che esegue 50 interventi/anno (soglia considerata importante) sono il 57, 3%, omogeneamente distribuiti a livello territoriale. Un dato sì indicativo di omogeneità, ma ancora non ottimale come numero, come messo ulteriormente in evidenza dal volume di attività ovunque lo specialista abbia operato: nel nord c’è una maggiore circolazione degli operatori tra più strutture, e la percentuale di strutture che ha almeno un operatore esperto nelle procedure di valvuloplastica è si il 70,2%  (media nazionale; nord 74.6%, centro 66,7%, Sud e isole 65,9%), ma è un dato che corrisponde però a poco più della metà degli interventi eseguiti da almeno un operatore esperto (53,7%).

Il fatto di non poter distinguere la tipologia di interventi (AVR e TAVI) rappresenta un limite all’interno del PNE poiché per esempio non consente di fornire dati precisi sulla distribuzione per età o sulla mortalità a 30 giorni. Le linee guida emanate nel 2016, in cui il Programma nazionale esiti (PNE)-Agenas, la Società italiana di chirurgia cardiaca (SICCH) e la Società italiana di chirurgia invasiva (SICI-GISE) hanno definito un sistema di codifica uniforme per gli interventi strutturali transcatere sulle valvole cardiache, poi trasmesse dal Ministero della salute nell’ottobre dello stesso anno alle regioni, sono di fatto adottate da pochi Servizi sanitari regionali e si continua a utilizzare la versione ICD-9-CM del 2007.

In prospettiva futura, per superare questi limiti, sarebbe senz’altro auspicabile adottare le linee guida; come altra possibilità si potrebbe considerare l’integrazione del tracciato SDO, come ha fatto la Regione Lazio. In quest’ultimo caso, l’ideale sarebbe avere un meccanismo un po’ più agile di modifica del tracciato SDO, simile a quello che esiste negli Stati Uniti, dove si possono adattare i parametri alle esigenze cliniche.

Altri due aspetti saranno, infine, importanti. Il primo riguarda la raccolta sistematica di un set minimo di informazioni da parte degli IRCCS, in modo da avere dati nazionali sugli interventi effettuati in open e per via transcatetere e sulla mortalità a 30, 60 e 90 giorni, nonché su altri dati come ricoveri per IMA, ictus etc. (hard outcomes) degli ultimi quattro anni.

Il secondo aspetto riguarda i registri clinici: è partita una convenzione tra PNE-Agenas e SICCH/ SICI-GISE per fare una raccolta prospettica di dati, che però richiederà più tempo per poterla realizzare rispetto al primo aspetto. Anche da questo punto di vista, il progetto di ricerca della Rete Cardiologica, Outstanding Italy, è di estrema importanza.


Esperienza di integrazione in Regione Lazio